La valutazione della qualità di vita: metodologie e problematiche.

La valutazione della qualità di vita: metodologie e problematiche.

Sergio Aito, Lucia Farsetti

Livigno, 2005

 

  1. Introduzione

Il concetto di qualità di vita è molto antico: già Epicuro, nel IV secolo a. C., scrisse: “Una salda conoscenza dei bisogni inclina a ricondurre ogni assenso o diniego al benessere del corpo ed alla piena serenità dell’animo, poiché questo è il fine della vita felice. A questo fine noi rivolgiamo ogni nostra azione, per allontanarci dalla sofferenza e dall’apprensione”.

Esso è stato applicato inizialmente in sociologia e solo successivamente in ambito medico; manca tuttavia di una definizione chiara ed è stato utilizzato, senza approcci univoci, nelle ricerche in ambito medico riferito sia a condizioni materiali e misurabili sia a tutte quelle esperienze soggettive che rendono la vita significativa e degna di essere vissuta.

L’OMS definisce la Q.d.V. come una “ percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nei quali egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi, aspettative e preoccupazioni”.

Attualmente, in merito alla misurazione della Q.d.V., non è stato raggiunto un consenso sul significato della stessa (misurare condizioni oggettive di benessere personale e sociale oppure misurare il percepito benessere da parte del soggetto?), su chi la dovrebbe misurare, o se la misura di una qualità sia davvero scientificamente perseguibile.

Per gli usi medici è stato introdotto il concetto di Health related quality of life (HRQoL ) definita come “l’insieme degli aspetti qualitativi della vita dell’individuo correlabili ai domini della malattia e della salute, e pertanto modificabili dalla medicina.”

La HRQoL è maggiormente orientata alla valutazione della performance funzionale più che alla percezione soggettiva della qualità di vita, ed è, perciò, riferita per lo più a condizioni materiali, come per esempio alla rilevazione della frequenza nell’esecuzione di atti della vita quotidiana nei vari ambiti personali e sociali, più che alla rilevazione dell’intensità di soddisfazione nell’eseguirli.

Tale strumento può avere importanti applicazioni in medicina per:

  • Valutare l’impatto della malattia sulla sensazione di benessere dei pazienti.

  • Valutare l’efficacia di una strategia terapeutica nei trials randomizzati e controllati, ma anche l’efficacia di una terapia nell’applicazione quotidiana.

  • Fornire informazioni utili sulla prognosi di una malattia e sull’esito atteso di una terapia.

  • Valutare il rapporto costo/efficacia di una terapia.

Se si considera invece la Q.d.V. come un insieme di percezioni soggettive, le metodiche di valutazione e di misurazione diventano più vaghe. Comunque il modo migliore per valutarla è tutt’oggi ritenuta l’intervista tramite domande dirette; ma, viste le difficoltà pratiche e la scarsa confrontabilità di tale metodo, si preferisce ricorrere a questionari sintetici (per una valutazione generale tramite singoli items) o analitici, generici o specifici per malattia.

La valutazione dei targets della salute dovrebbe comunque soddisfare i criteri “SMART”: specificità, misurabilità, accuratezza, essere realistici e non oltrepassare determinati limiti di tempo.

 

  1. Valutazione e misurazione della qualità di vita: soggettiva/oggetiva; qualitativa/quantitativa

L’approccio nella misurazione della Q.d.V più che un problema puramente metodologico, è un problema filosofico ed epistemologico e nel tempo ha interessato numerosi studiosi, ma i tentativi di comparare i risultati di più studi sono spesso inficiati dall’ambiguità concettuale nell’utilizzo di termini come soddisfazione di vita, benessere e qualità di vita a volte usati intercambiabilmente senza essere chiaramente definiti (Ville).

Gerhart ha osservato, a questo proposito, che il nostro modo di agire, di dare raccomandazioni o anche semplicemente di comunicare la nostra qualità di vita sono attitudini profondamente radicate in noi e le persone da valutare, nel caso siano disabili, necessitano di informazioni accurate sia da parte dei loro care-givers sia da parte di altri pazienti che vivono con una disabilità assimilabile.

Gli studi condotti sulla Q.d.V hanno dimostrato la discrepanza tra valutazione soggettiva e oggettiva delle stesse vite, infatti DeLisa ed altri hanno notato che le assunzioni di coloro che non sono disabili non hanno correlazioni con la realtà della vita di persone con disabilità (lesione midollare) e che spesso (v. Gerhart e Corbet) l’informazione fornita dai professionisti della salute è influenzata dalle convinzioni negative di una menomazione sulla Q.d.V. da parte della società, portando quindi ad un atteggiamento di ricerca basato su un “ consenso non informato”, e quindi scarsamente scientifico.

Oltre ai problemi di confronto e coesione delle ricerche sulla Q.d.V, la ricerca in tale ambito è problematica per altre ragioni:

  1. il tentativo di quantificare un’esperienza qualitativa effettivamente cancella la differenza tra quantitativo e qualitativo, distorcendo così parzialmente la realtà.

  2. I gruppi di items ritenuti importanti e perciò inseriti nei vari studi tradizionali sulla Q.d.V sono stati selezionati da “esperti” le cui scelte riflettono inevitabilmente i loro valori e la loro cultura e non si possono quindi considerare né neutrali né oggettivi.

Gli antropologi e i ricercatori sulla disabilità fanno notare come la concezione della Q.d.V nei paesi occidentali rifletta una specifica cultura e non valori universali; ad esempio Wolfensberger ha notato che la valutazione della Q.d.V riflette gli enormi valori della cultura dominante e delle classi privilegiate. Dijkers sostiene che la misura della Q.d.V non è uno sforzo privo di valore, ma spesso gli strumenti per valutarla parlano più delle priorità e dei valori del ricercatore che della Q.d.V del paziente.

  1. Molti ricercatori hanno dimostrato la discrepanza tra la valutazione oggettiva (la loro) della Q.d.V e la soddisfazione soggettiva di tale vita; ciò porta i ricercatori a concludere che la misurazione della Q.d.V dovrebbe essere determinata dallo stesso paziente.

  2. Altri ricercatori spesso hanno utilizzato, senza commenti, strumenti di valutazione presi in prestito da ricerche su una popolazione con differenti problematiche ( p.es. affette da patologie croniche diverse da quelle oggetto dello studio, come la geriatria a l’oncologia). Dunnum ha usato la Life Satisfaction for the Elderly Scale per un gruppo di pazienti che aveva circa 18 anni. The Life Satisfaction Index-A (LSI) è molto più adatto per le persone con più di 65 anni, ma è stato usato in alcuni studi su persone con lesione midollare, considerando che negli USA l’età media di lesione midollare è 32 anni e che il 55% di lesioni interessa persone tra i 16 e i 30 anni e che, mentre la maggioranza degli anziani sono donne, circa l’82% dei pazienti con lesione midollare sono uomini. Presumibilmente questi ricercatori non hanno considerato l’età come un fattore che può influenzare la Q.d.V. Nieves ha indagato la Q.d.V nei pazienti con lesione midollare, usando uno strumento di misura concepito per i pazienti affetti da cancro.

Scale di valutazione della Q.d.V.

La misurazione della Q.d.V dovrebbe, comunque, essere sempre supportata da valutazioni di parametri funzionali fisici e psichici che la possono influenzare fortemente come ad esmpio:

  • FIM, SCIM, QIF, per la valutazione della funzione fisica, intesa in termini di indipendenza ed autonomia nella vita quotidiana

  • HAD (hospital anxiety and depression scale), GHQ (general health questionnaire), Mental health summary scale of SF-36, per la valutazione in ambito psico-affettivo

  • VAS per il dolore

  • ASIA per la classificazione neurological delle lesioni midollari

Le scale di valutazione della Q.d.V ritenute “oggettive” sono quelle che valutano la HRQoL. Tra esse si annoverano:

  1. SF-36 ( short form 36 health survey) o SF-32 (short version)

  2. SIP (sickness impact profile) o FLP in UK (functional limitations profile)

  3. QWB (quality of well-being scale)

  4. SCIQL (spinal cord injury QoL questionnaire)

  5. NHP (Nottingham health profile)

  6. EUROQoL (valutazione del benessere: indici di salute)

  7. C.H.A.R.T. (Craig Handicap Asessment and Reporting Technique )

Le scale di valutazione della Q.d.V ritenute « soggettive » sono :

  1. WHOQOL-100 e WHOQOL-BREF (strumento dell’OMS, disponibile in 20 lingue; gli items, inerenti la Q.d.V generale soggettiva e la salute, sono stati individuati tramite la collaborazione di pazienti con diverse disabilità, di medici ed altri professionisti della salute e di persone comuni in buono stato di salute; il tutto in numerosi ambiti culturali. Il BREF può essere auto-somministrato in pazienti collaboranti);

  2. LSI (life satisfaction index)

  3. LSQ-R (life satisfaction questionnaire)

A nostro avviso lo studio ideale per la HRQoL dovrebbe contenere entrambe le dimensioni di valutazione, quella oggettiva e quella soggettiva. I vari domini ( integrazione sociale, lavoro, indipendenza economica, relazioni sentimentali, etc.) dovrebbero essere esaminati attraverso le misurazioni di items che riportino i valori prima e dopo l’evento patologico e, al tempo stesso, il grado di soddisfazione per singolo item prima e dopo l’evento. Questa ideale metodica sicuramente limiterebbe al massimo gli errori di valutazione, ma, probabilmente, sarebbe troppo lunga e difficoltosa da somministrare.

 

  1. La valutazione della Q.d.V nelle persone con lesione midollare

La qualità di vita è, a buon ragione, diventata sia lo scopo ultimo della riabilitazione nei traumi midollari, che la chiave dei risultati nel determinare l’efficacia della stessa riabilitazione.

Le meta-analisi della ricerca sulla Q.d.V dopo lesione midollare riportate da Dijkers et al. hanno dimostrato l’ampia varietà di progetti e strumenti, modalità di analisi e di caratteristici campioni che rendono il confronto e le conclusioni problematici.

Hallin in una revisione su queste difficoltà ha identificato la necessità di costruire attentamente strumenti condizione-specifici che possano catturare le dimensioni di specifico interesse per le lesioni midollari.

Si è visto che il numero di differenti strumenti usati per valutare la Q.d.V. dopo lesione midollare è quasi uguale al numero di studi condotti. Inoltre pochi studi qualitativi sono stati impostati usando misurazioni in accordo con i punti di vista dei pazienti, nonostante il crescente riconoscimento del valore di questo approccio.

Duggan e Lysack hanno riportato un’indagine qualitativa sui cambiamenti nell’autovalutazione della Q.d.V. dal momento della lesione a 30 mesi dopo la lesione: essa declina bruscamente 6 mesi dopo la lesione per molti pazienti, ma per la maggior parte di questi la Q.d.V. autovalutata subisce un incremento a un anno dopo la lesione. Tale andamento crescente viene attribuito al passaggio del tempo, al cambiamento dei valori e alla revisione del concetto di sé. La Q.d.V. risulterebbe così una equazione di fattori di menomazione, personali e ambientali.

Sebbene fosse già stata individuata l’importanza della modificazione dei valori e della revisione del concetto di sé per la percezione della Q.d.V. nelle persone con lesione midollare , questi items non sono stati indagati forse perché non riconducibili ad analisi quantitative, comunque il fatto che i parametri sono instabili va sempre tenuto in considerazione nella sua valutazione o misura.

Dall’ articolo “Quality of life in patients with spinal cord injury – basic issues, assessment, and recommendations” di S.Wood-Dauphinée and the SCI Consensus Group pubblicato su Restorative Neurology and Neuroscience 20 (2002) 135-149, emerge il consenso, ma non ancora una univoca linea guida, sulle valutazioni necessarie nelle persone con lesione midollare: prima della dimissione, indispensabili per il programma riabilitativo, dovrebbero essere effettuati FIM, HAD, VAS per il dolore, mentre dopo la dimissione (durante follow-up) dovrebbero essere effettuati CHART, SF-36, QWS o LSQ. 

 

  1. Lo studio di Firenze

Abbiamo condotto uno studio sulla Q.d.V. delle persone con lesione midollare traumatica poiché riteniamo che i tentativi di quantificare e verificare la Q.d.V. dei nostri pazienti sono indispensabili per determinare gli outcomes in una data regione e per una data gravità di lesione; questo potrebbe permettere sia di individuare i pazienti che si discostano significativamente dalla media attesa, indirizzando su di essi un diverso impegno sia riabilitativo che sociale e psicologico, sia di pianificare gli interventi più genericamente utili alla prevenzione secondaria e al miglioramento della loro Q.d.V.. Abbiamo pertanto deciso di analizzare una popolazione di medullolesi da trauma il più omogenea possibile dal punto di vista ambientale ed abbiamo scelto tutti i residenti nella provincia di Firenze, dove i livelli di assistenza socio-sanitaria sono equiparati. Di questa popolazione abbiamo voluto analizzare i dati clinici e quelli sociali e verificare le possibili correlazioni tra i vari dati. Per l’analisi della Q.d.V. abbiamo deciso di adottare il questionario C.H.A.R.T. (Craig Handicap Assessment and Reporting Technique), validato negli USA, oltre che in altri paesi come la Cina e il Giappone, ed utilizzato per gli studi NASCIS, in quanto abbiamo condiviso l’opportunità di rispondere ai parametri suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per la disabilità, per poi disporre di dati eventualmente confrontabili con altre più ampie casistiche. Per l’analisi dei parametri clinici abbiamo utilizzato un questionario appositamente studiato dal gruppo di lavoro dell’Unità Spinale di Firenze.

Lo studio, iniziato nel Settembre 2001 e terminato nel dicembre 2003, è stato condotto da un’équipe multidisciplinare (medici, psicologi, terapisti della riabilitazione, personale infermieristico) dell’Unità Spinale in collaborazione con l’U.O. di Epidemiologia dell’Azienda Ospedaliera Careggi; si è basato sui dati clinico dei pazienti relativo al periodo di ricovero (da 4 a 12 mesi a seconda del quadro clinico) e ai controlli ambulatoriali che fanno parte del protocollo di follow-up della struttura.

Tutti i pazienti erano affetti da esiti di lesione midollare traumatica, il cui evento risaliva ad almeno 12 mesi prima dell’inizio dello studio, erano residenti nella provincia di Firenze, che conta una popolazione complessiva di circa 936.000 abitanti.

Sono state censite 174 persone vive (102 M e 29 F ). Di queste solo 131 hanno risposto. Dei 41 che non hanno risposto, 31 erano risultati irreperibili e 10 si sono rifiutati di sottoporsi all’intervista.

Riportiamo alcuni dati preliminari:

dall’analisi descrittiva dei dati della scheda informativa si evince che l’età maggiormente interessata dalla lesione midollare è quella compresa tra i 26 e i 50 anni, con età media pari a 49 anni (mediana 45) con rapporto M:F di 4:1.

Il 55% dei pazienti percepisce una pensione dopo l’evento traumatico, mentre soltanto l’8% percepiva una pensione prima della lesione

Il 93% dei pazienti. abita presso il proprio domicilio; in particolare, nella nostra popolazione non abbiamo osservato alcun paziente di età oltre 64 anni con sistemazione in residenza sanitaria, indicando che una scelta di tale tipo è più frequentemente collegata a fattori familiari e sociali che non all’età stessa.

Per quanto riguarda i dati clinici si conferma la lieve prevalenza delle lesioni del distretto toraco-lombare (52%), con pressoché equa ripartizione fra lesioni complete (53%) e incomplete (47%). Le cause di maggior frequenza sono gli incidenti stradali (55%) e in secondo luogo le cadute dall’alto (28%). In circa nel 17% dei casi il trauma viene riconosciuto come incidente sul lavoro.

Circa il 70% dei pazienti va incontro ad ulteriori ricoveri dopo la dimissione dalla fase acuta post-traumatica, sia per motivi riabilitativi che per le complicanze terziarie della fase stabilizzata, prevalentemente lesioni cutanee da pressione ed episodi infettivi.

Il dolore è riferito, nelle sue varie modalità, in circa il 59% dei pz.; nel 46% dei pazienti ha modalità continuativa. Il dolore neuropatico si presenta sia nelle forme incomplete che in quelle complete (31% degli incompleti vs 28% dei completi), con prevalenza complessiva a livello lesionale per il 20% e a livello sotto-lesionale per il 77%.

L’ipertono è riferito invece nel 64% dei pz., ma solo nel 8% dei pazienti in forma grave.

Nella popolazione in esame solamente il 13% delle persone sono andate incontro a lesioni cutanee da pressione. Si nota dai nostri dati che questa complicanza è particolarmente soggetta a recidive (l’88% dei pazienti. che accusano una lesione cutanea da decubito ne ha avute altre in precedenza).

Il 75% circa dei pazienti è autonomo nella gestione della vescica e il 66% in quello dell’evacuazione intestinale. Circa il 57% dei pazienti intervistati non ritiene i Servizi sociali territoriali un punto di riferimento per le proprie problematiche. Non è evidente se chi vi ricorre è soddisfatto o no.

Attività sportive erano praticate dal 62% delle persone del nostro campione prima della lesione midollare mentre dopo il trauma solo il 23% dei soggetti dichiara di praticare sport.

Analizzando i dati emersi dalla somministrazione del questionario CHART si osserva che i soggetti con lesione midollare esaminati raggiungono un buon punteggio relativo all’ indipendenza fisica (62% dei pz. con punteggio > 75), alla mobilità (63% > 75), all’indipendenza cognitiva (58% > 75) e integrazione sociale (80% > 75), mentre nei confronti dell’occupazione lavorativa solo il 34% del campione raggiunge un punteggio superiore a 75. Non si individua la distribuzione per livello e grado di tali risultati.

Sono state eseguite inoltre correlazioni fra alcuni dati anamnestici e i punteggi relativi alla valutazione del grado di handicap ed è emerso che:

  1. il punteggio relativo all’occupazione risulta direttamente proporzionale al maggiore titolo di studio; ciò può essere letto in relazione alla maggiore facilità per le persone con lesione midollare di occupazione in attività “intellettuali”, piuttosto che “manuali”;

       2. l’uso di una carrozzina per gli spostamenti risulta inversamente proporzionale ai punteggi relativi all’indipendenza fisica, a quella cognitiva, alla mobilità ed integrazione sociale,  parametri che risultano più elevati in chi può spostarsi senza carrozzina;

  1. la presenza di dolore e di forte spasticità sono inversamente associate con i punteggi di indipendenza fisica, confermando che dolore e spasticità limitano in maniera significativa l’indipendenza fisica di questo tipo di patologia;

       4. una gestione autonoma della vescica risulta direttamente proporzionale con i punteggi relativi all’indipendenza fisica, a quella cognitiva, alla mobilità ed all’occupazione, testimoniando l’importanza che l’autonomia della gestione vescicale sia fra gli obbiettivi

       principali della riabilitazione vescicale effettuata nei centri di cura e riabilitazione di questo tipo di patologia;

       5. altrettanto vale per l’autonomia nella gestione della evacuazione intestinale che risulta correlata con gli stessi items dell’autonomia vescicale con l’aggiunta di una maggiore integrazione sociale;

      6. la pratica sportiva dopo la lesione appare direttamente correlata con una buona mobilità ed è maggiore significativamente nelle persone con una occupazione rispetto a chi non lavora;

      7. l’esercitare una attività lavorativa risulta direttamente proporzionale con un buon punteggio di mobilità;

      8. la presenza di un coniuge è direttamente proporzionale con un buon punteggio relativo  all’integrazione sociale.

 

Altre ricerche in Italia

E’ interessante menzionare la ricerca sulla qualità di vita eseguita dal gruppo GISEM, quale evoluzione dello studio GISEM 1, eseguito su un campione di circa 2000 pazienti affetti da lesione midollare traumatica e non traumatica, ricoverati in 35 Centri di Riabilitazione comprendenti tutte le Unità Spinali italiane. Questo secondo studio, denominato GISEM 2 FU, in via di pubblicazione, ha utilizzato un questionario appositamente costruito che riporta fondamentalmente aspetti della qualità di vita percepita dalle persone con esiti di lesione midollare.

 

Bibliografia

  • Andresen EM, Vahle VJ, Lollar D. Proxy reliability: health-related quality of life (HRQoL) measures for people with disability. Qual Life Res 2001; 10(7).

  • Leduc BE, Lepage Y. Health-related quality of life after spinal cord injury Disabil Rehabil 2002 Mar 10;24(4).

  • Greer 1984, Kaplan 1985, Bullinger 1993, Patrik ed Erickson 1988 )

  • Gerhart KA. Quality of life: the danger of differing perceptions. Top spinal Cord Injury Rehabil 1997; 2:78-84.

  • Djikers M. Correlates of life satisfaction among persons with spinal cord injury. Arch Phys Med Rehabil 1999; 80:867-876.

  • The Consortium for spinal Cord Medicine. Outcomes following traumatic spinal cord injury: Clinical practise guidelines for health care professionals. The Consortium and the Paralyzed Veterans of America, Washington 1999.

  • Pierce CA, Richards JS, et al. Life satisfaction following spinal cord injury and WHO model of Functioning and Disabiliry. Sci Psychosoc Process 1999; 12:121,124-127.

  • Duggan Ch, Dijkers M. Quality of life after spinal cord injury: a qualitative study. Rehabil Psychol 2001;46:3-27.

  • Duggan C, LysackC. How individuals interpret changes in quality of life following traumatic spinal cord injury. J Spinal Cord Med 2001; 24 (suppl 1): S34.

  • Hallin P, Sullivan M, et al. Spinal cord injury and quality of life measures : a review of instrument phychometric quality. Spinal Cord 2002; 38:509-523.

  • Putzke JD, Richards JS, et al. Predictors of life satisfaction. A spinal cord injury cohort study. Arch Phys Med Rehab 2002; 83:555-561.

  • DeLisa JA. Quality of life for individuals with SCI: let’s keep up the good work. Spinal Cord Med 2002; 25:1.

  • May LA, Warren S. Measuring quality of life of person with spinal cord injury: external and structural validity. Spinal Cord 2002; 40:341-350.

  • Johnston M, Nissim E, Wood k, et al. Objective and subjective handicap following spinal cord injury: interrelatitionships and predictors. J Spinal Cord Med 2002; 25:11-22.

  • Bénony H, Daloz L, et al. Emotional factors and subjective quality of life in subjects with spinal cord injuries. Am J Phys Med Rehabil 2002;81:437-445.

  • Franceschini M, Di Clemente et al. Longitudinal outcome 6 years after spinal cord injury. Spinal Cord 2003; 41:280-285.

  • The Stockholm Spinal Cord Injury Study: medical, economical and psycho-social outcomes in a prevalence population. Stockholm 1996; Levi M D; Department of Clinical Neuroscience and Family Medicine, Stockholm Sweden.

  • Aito: Indagine epidemiologica sulle lesioni midollari in Toscana.; Regione Toscana Ottobre 1999.

  • Pagliacci MC et al. on behalf of GISEM Spinal Cord Lesion management in Italy: two years survey. Spinal Cord 2003; 41: 620-62

·       M. Franceschini1, M. Agosti1, S. Aito2 , M.G. Celani3, A. Citterio4, B. Di Clemente1, M.C.

     Pagliacci5, L. Spizzichino6, M. Taricco7, M. Zampolini8, on behalf of GISEM F.U.   Follow-up in patients with traumatic spinal cord injury: questionnaire reliability ( in press )

 

 

Lascia un commento

Archiviato in Senza categoria

Cortisone ad alte dosi nelle lesioni midollari: gli studi NASCIS.

NASCIS  review

 

Sergio Aito,  Barbara Cariaggi*,  Silvia Perazza*.

 

Unità Spinale, Azienda Ospedaliera-Universitaria Careggi, Firenze

*Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitazione.

 

 

L’acronimo NASCIS sintetizza il National Acute Spinal Cord Injury, che rappresenta lo studio longitudinale sulle lesioni midollari acute su più vasta scala mai eseguito.

Il trauma acuto midollare, dal punto di vista biochimico, è caratterizzato dal rilascio, nei tessuti lesionati, di mediatori endogeni locali che aggiungono un insulto di tipo chimico e biologico al primitivo insulto meccanico. Questo processo secondario include l’idrolisi dei trigliceridi ed il conseguente rilascio degli acidi grassi liberi, la perdita di colesterolo e fenomeni di autossidazione, cioè di perossidazione non enzimatica dei lipidi. Tali eventi portano alla distruzione delle membrane cellulari dei neuroni e dei capillari. Queste alterazioni del metabolismo cellulare, oltre a provocare un danno diretto sulle cellule, creano i presupposti per un danno indiretto, attraverso cioè disordini nell’equilibrio degli elettroliti, ischemia, edema e reazione infiammatoria, con conseguente neuronofagia.1  Studi condotti inizialmente su animali hanno permesso di individuare classi di farmaci che interferiscono con questo processo secondario. Tra questi il Metilprednisolone Sodio Succinato (MP), un glucocorticoide di sintesi, si è rivelato il più efficace.

MP interferisce con la perossidazione lipidica e l’idrolisi; questa sua azione è tanto più efficace quanto più precoce è l’inizio del trattamento. Sembra agire anche su altri fattori dell’infiammazione, limitando la perdita di colesterolo, la lipolisi e la produzione di prostaglandine e prostacicline, riducendo quindi la necrosi post-lesionale dei tessuti.

Il MP, inoltre, possiede la capacità di stimolare la conduzione elettrica nei neuroni del midollo spinale leso e di limitare l’azione delle fosfolipasi. Anche la Vit.E ed il Selenio interferiscono con questi eventi, ma non quanto il MP. L’attività farmacologica di queste molecole si può spiegare con la loro attività antiossidante.1

Il successo ottenuto dagli studi sperimentali con MP, nella fase acuta delle lesioni midollari traumatiche, dimostra che ci sono possibilità per un trattamento farmacologico.

National Acute Spinal Cord Injury Study (NASCIS) è stato istituito nel 1977, allo scopo di definire la corretta ed efficace modalità di somministrazione del MP nelle lesioni acute midollari da trauma.

Dal 1977 ad oggi sono stati condotti tre studi NASCIS.

NASCIS I è uno studio clinico multicentrico randomizzato a doppio cieco, che ha coinvolto i dipartimenti di Neurochirurgia di nove ospedali in sette Stati americani dal 1979 al 1985. Sono stati inclusi nello studio 330 pazienti con trauma acuto midollare, d’età superiore ai 13 anni. Tutti hanno ricevuto il trattamento farmacologico con MP entro 48 ore dal trauma. Sono stati esclusi i pazienti con lesioni a carico di radici spinali e/o della cauda equina, i pazienti che avevano già ricevuto più di 100 mg di MP, i pazienti con quadri severi di comorbilità e coloro che non davano il consenso.

Lo studio ha confrontato due gruppi di trattamento:

       1° gruppo = pazienti trattati con un’elevata dose di MP e.v. (bolo di 1000 mg seguito da 1000 mg/die per 10 giorni)

       2° gruppo = pazienti trattati con una bassa dose di MP e.v. (bolo di 100 mg seguito da 100 mg /die per 10 giorni).

A 6 settimane, 6 mesi, e 12 mesi venivano effettuate una valutazione della funzione motoria, utilizzando una scala a 6 punti (1= funzione motoria normale; 6= assenza di contrazione), e una valutazione della sensibilità con una scala da 0 (sensibilità assente) a 2 punti (sensibilità normale).

I risultati dello studio non hanno dimostrato differenze significative nel recupero neurologico tra i due gruppi di pazienti.

L’assenza di differenza di efficacia tra MP ad alte dosi e MP a basse dosi fu attribuita o al mancato raggiungimento della dose terapeutica, o al fatto che il trattamento, anche se effettuato entro le 48 ore, era comunque tardivo (solo il 12% dei pz ha ricevuto il MP entro 3 ore dal trauma), o addirittura alla possibilità che entrambi i protocolli fossero efficaci, la qual cosa non poteva essere dimostrata in assenza di un gruppo di controllo trattato con placebo.3

Non essendo stato possibile trarre alcuna conclusione utile alla finalità dello studio, nel 1985 fu iniziato il NASCIS II, studio clinico multicentrico randomizzato a doppio cieco protrattosi fino al 1988. Dieci Centri in otto Stati americani hanno partecipato allo studio, arruolando 487 pazienti con lesione acuta midollare, tutti trattati entro le prime 12 ore dal trauma. Criteri di esclusione erano rappresentati da lesioni esclusivamente a carico di radici spinali e/o della cauda equina, lesioni da arma da fuoco, presenza di fattori di comorbilità, donne in stato di gravidanza, pazienti che facevano già uso di corticosteroidi.

In risposta alle possibili cause di mancato successo del NASCIS I, in questo studio sono state utilizzate dosi più alte di MP, è stato introdotto un gruppo di controllo trattato con placebo e un gruppo trattato con un secondo farmaco possibile candidato come agente terapeutico per la fase acuta. La somministrazione, nei tre gruppi di trattamento, è iniziata entro 12 ore dal trauma, anticipando, in questo modo, i tempi rispetto al NASCIS I.

I tre gruppi erano così rappresentati:

       1° gruppo = 162 pazienti trattati con MP,  bolo di 30 mg/kg, seguito da infusione di 5,4 mg/kg/h per 24 ore;

       2° gruppo = 154 pazienti trattati con Naloxone cloridrato, antagonista per il recettore degli oppiacei, bolo di 5,4 mg/kg, seguito da 4,0 mg/kg/h per 24 ore;

       3° gruppo = 171 pazienti trattati con placebo.

Le rilevazioni cliniche sulla funzione motoria e la sensibilità sono state eseguite immediatamente dopo il trauma, a 6 settimane, a 6 mesi ed a 12 mesi dall’evento traumatico. La funzionalità motoria è stata valutata utilizzando una scala a 5 punti, secondo ASIA (American Spinal Injury Association, International Standards for Neurological Classification of Spinal Cord Injury), e sono stati esaminati 14 gruppi muscolari bilateralmente. La funzione sensitiva è stata valutata con una scala da 0 (sensibilità assente) a 2 (sensibilità normale).

Poiché si era osservato che i risultati dello studio risultavano influenzati dal tempo intercorso tra la lesione stessa e la somministrazione dei farmaci, i dati sono stati stratificati in base al tempo di somministrazione (spartiacque a 8 ore dalla lesione) oltre che alla gravità della lesione (completa/incompleta).

Dall’analisi dei dati è emerso che il trattamento con MP è stato il più efficace nel favorire il recupero motorio e sensitivo, ma solo se somministrato entro 8 ore dalla lesione midollare acuta, sia in caso di lesione completa che incompleta; non sono state, inoltre, rilevate differenze tra i vari gruppi circa l’insorgenza di complicanze e il tasso di mortalità.

Il trattamento con MP, somministrato alle dosi dello studio, è stato dunque raccomandato in caso di lesione acuta midollare, ma solo se il trattamento veniva iniziato entro 8 ore dall’evento lesivo.

Nascis II ha messo in evidenza l’importanza del fattore tempo: solo i pz che hanno ricevuto MP entro 8 ore dal trauma hanno avuto benefici; i pazienti che hanno ricevuto MP dopo 8 ore, non solo non hanno avuto miglioramenti, ma anzi, hanno visto peggiorata la situazione neurologica: sembra che la somministrazione tardiva di steroidi inibisca minimamente i meccanismi di perossidazione lipidica, ostacolando invece, attraverso l’inibizione dell’attività di cellule del sistema immunitario, i meccanismi di rigenerazione neuronale. 4-5

Comprovata, con il NASCIS II, l’efficacia del MP nel ridurre gli effetti dei processi biologici distruttivi nel midollo spinale lesionato, il terzo ed ultimo studio, NASCIS III, è stato organizzato per valutare gli effetti del MP somministrato per 48 ore, anziché 24, a conferma dell’ipotesi che i meccanismi di danno secondario continuano oltre le prime 24 ore dopo il trauma. Nello studio è stato valutato l’effetto della somministrazione del Tirilazad Mesylate, un potente inibitore della perossidazione lipidica.

Lo studio clinico randomizzato a doppio cieco è stato condotto dal 1991 al 1996 presso 16 Unità Spinali, Centri specializzati nella cura delle persone con lesione midollare, negli Stati Uniti.

Sono stati inclusi 499 pazienti affetti da lesione midollare traumatica, trattati farmacologicamente entro 8 ore dal trauma. Sono stati esclusi criminali, immigrati clandestini, donne in stato di gravidanza, pazienti con gravi patologie associate, pazienti con peso superiore a 109 kg, pazienti con ferite da arma da fuoco, pazienti con lesioni midollari precedenti, pazienti già in trattamento con MP.

Lo studio ha confrontato tre gruppi di trattamento:

1° gruppo = 167 pazienti trattati con 5,4 mg/kg/h di MP per 48 ore

2° gruppo = 166 pazienti trattati con 5,4 mg/kg/h di MP per 24 ore

3° gruppo = 166 pazienti trattati con bolo di 2,5 mg/kg di Tirilazad Mesylate ogni 6 ore per 48  

                    ore

Tutti i pazienti hanno ricevuto, prima della randomizzazione, un bolo di 30 mg/kg di MP.

Subito dopo il trauma, a 6 settimane, a 6 mesi e a 12 mesi sono state esplorate le funzioni motorie, quelle sensitive e la FIM (Functional Indipendence Measurement). La funzione motoria è stata valutata con una scala a 5 punti, secondo ASIA ( American Spinal Injury Association Standard for Neurological Classification of Spinal Cord Injury), su 14 gruppi muscolari misurati bilateralmente. La FIM, che misura la cura di sé, il controllo sfinterico, la mobilità, la deambulazione, la comunicazione, l’integrazione sociale, si esprime attraverso una scala il cui livello minimo, equivalente a 18, corrisponde alla necessità di completa assistenza, mentre il livello massimo di 126 indica una completa indipendenza nelle attività di vita quotidiana.

I risultati, presentati da Michael Bracken nel maggio 1996, hanno evidenziato che in tutti i gruppi di trattamento c’è stato un recupero neurologico dopo un anno, che il recupero più veloce è avvenuto tra le 6 settimane e i primi 6 mesi dal trauma. Inoltre i tre protocolli di trattamento sono risultati di pari efficacia per il recupero neurologico quando il trattamento veniva stato iniziato entro 3 ore dal trauma. Se iniziato dopo le 3 ore, il protocollo più efficace è stato il MP somministrato per 48 h.

Non è stata riscontrata alcuna differenza rilevante tra i tre gruppi per quanto riguarda l’insorgenza di complicazioni gravi.

Il Tirilazad mesylate è un potente antiossidante ed inibitore della perossidazione lipidica ma con quasi nulla attività glucocorticoidea. I risultati di questo studio hanno perciò confermato indirettamente l’ipotesi del danno da perossidazione lipidica. NASCIS III non ha fornito, tuttavia, un razionale per l’utilizzo del Tirilazad, ma ha aperto il campo a nuovi studi che prevedano l’uso del Tirilazad per oltre 48 ore, essendo questo farmaco scevro degli effetti collaterali del MP ed efficace nell’inibire la perossidazione lipidica.

Dallo studio è emersa dunque l’indicazione all’utilizzo del protocollo con MP somministrato per 24 ore o per 48 ore, a seconda che il trattamento cominci rispettivamente entro tre ore o tra tre e otto ore dopo la lesione.

I risultati dello studio hanno confermato l’ipotesi che i meccanismi di danno secondario continuino oltre le 24 ore 6-7.

Le dosi di Metilprednisolone usate in questi studi sono molto più elevate di quelle necessarie ad occupare i recettori per i corticosteroidi: ciò fa pensare che il MP agisca con altri meccanismi, non correlati con la sua “funzione principale”. Esperimenti condotti su animali hanno altresì dimostrato che tali dosaggi corrispondono alla massima efficacia del farmaco nei confronti dell’ischemia post-traumatica, dell’accumulo di calcio e della perdita di potassio. 2

Abbiamo condotto una ricerca bibliografica su Medline circa le valutazioni e le eventuali verifiche, eseguite da altri autori o dagli stessi che hanno partecipato allo studio NASCIS.

Abbiamo così raccolto 23 lavori successivamente catalogati come “pro” e “contro”, a seconda delle conclusioni che erano state tratte circa l’utilità del trattamento con MP nella fase acuta delle lesioni midollari da trauma. I “pro” sono risultati essere 11, mentre i “contro” 12 (vedi bibliografia). Fondamentalmente le critiche rivolte agli studi NASCIS; con particolare riferimento al III, concernevano:

1)    la valutazione clinica effettuata sui pazienti

2)    l’analisi statistica dei dati raccolti che ha considerato fondamentalmente le somme dei   

             punteggi ASIA e FIM dei vari gruppi e le loro medie

      3)  il rischio di effetti collaterali o complicanze della terapia cortisonica massiva.

 Nesathurai24 e Coleman26, in due articoli rispettivamente del 1998 e del 2000, sottolineano come, già in fase iniziale, la validità dello studio venga inficiata da una poco attendibile randomizzazione dei pazienti:

– i pz trattati con Tirilazad avevano di base un più basso livello pressorio diastolico e un più basso punteggio motorio rispetto agli altri due gruppi:ladisomogeneità del campione potrebbe aver indotto un risultato peggiore all’interno di questo gruppo, in quanto, partendo da una condizione iniziale più compromessa, era prevedibile per tali pazienti un recupero neurologico minore.

– l’inclusione nello studio di pazienti con lesioni midollari di minima entità e quindi con minimi o quasi nulli deficit motori/sensitivi altera l’interpretazione dei risultati in quanto il miglioramento neurologico e funzionale risulterà sicuramente minore rispetto a lesioni con maggiore coinvogimento neurologico iniziale. Queste ultime avranno sicuramente un maggiore margine di miglioramento. Se, quindi, le valutazioni del miglioramento neurologico nei vari gruppi saranno riferite ai valori medi di punteggio ASIA, risulterà sicuramente penalizzato quel gruppo di trattamento con maggiore presenza di lesioni lievi, che risulta essere quello trattato con MP per 24 ore.

Hurlbert 25 sottolinea l’assoluta arbitrarietà del timing di somministrazione a 3 e a 8 ore: una diversa distribuzione nell’ambito di questo intervallo (a 1 ora, a 2 ore, etc.) avrebbe permesso una più razionale correlazione statistica degli effetti tempo-dipendenti del MP.

Nesathurai 24 mette poi in discussione l’accuratezza dell’esame obiettivo, considerando ad es. che lo studio dei flessori del ginocchio deve essere eseguito in posizione laterale o prona, ed è perciò improbabile, che in fase acuta, tali rilievi siano stati effettuati in maniera corretta. Inoltre per eseguire un accurato esame neurologico, secondo ASIA, si calcola che sia necessaria almeno un’ora di tempo, probabilmente non sempre disponibile durante le fasi immediatamente successive al trauma.

Un’ulteriore critica, in ambito clinico, è mossa riguardo all’adozione della scala a 5 punti (secondo ASIA) per la valutazione della motricità. La classificazione del deficit motorio e la somma del punteggio secondo tale scala, porterebbe infatti a considerare il miglioramento da 0 a 1 o da 4 a 5 equivalente a quelli da 2 a 3 o da 3 a 4 che, invece, dovrebbero avere peso maggiore, perché indicativi di un maggior guadagno dal punto di vista funzionale; lo stesso vale anche per la distribuzione del punteggio: l’aumento di 4 punti su un solo segmento non può avere lo stesso significato dell’aumento di un punto su 4 segmenti, che risulta funzionalmente più scarso.

Altre critiche verso l’analisi statistica dei dati hanno messo in evidenza che l’incremento dei punteggi motori nel gruppo trattato con MP per 48 ore somministrato tra 3 e 8 ore rispetto al gruppo trattato con MP per 24 ore durante lo stesso intervallo dalla lesione è significativo solo a 6 mesi ma non più ad 1 anno 25.

Dubbi circa la scelta di considerare soltanto i dati dell’esame neurologico relativi all’emisoma destro sono stati altresì sollevati.24-25

Ancora arbitraria e quindi degna di sospetto è risultata l’eliminazione dall’analisi dei non compliers, non essendo stati specificati i motivi della loro esclusione. Questo potrebbe aver alterato la significatività statistica dello studio, inducendo un miglioramento del punteggio motorio, nel gruppo trattato con MP per 48 ore e un peggioramento nel gruppo trattato con MP per 24 ore 25.

Infine, il rischio di complicanze, dovuto all’uso di dosi massive di corticosteroidi, è molto elevata. Nella revisione dei dati da parte diNesathurai24 è stato dimostrato che esiste un aumentato rischio di sepsi (p=0,07) e di processi pneumonici (p=0,02) che possono implicare intubazione tracheale e ventilazione meccanica, con aumentato rischio di peggioramento neurologico.

Bracken14 risponde, in un articolo del 2000 pubblicato su The Journal of Trauma, alle molteplici critiche rivolte in particolare da Nesathurai nell’ambito di valutazioni cliniche, analisi statistiche e complicanze.

A difesa degli studi NASCIS, egli sostiene che le tecniche di valutazione della sensibilità e della motricità utilizzate sono quelle raccomandate da ASIA ed adottate dalla Società Medica Internazionale di Paraplegia, e che l’unica differenza, peraltro non significativa, è rappresentata dalla valutazione dell’estensore delle dita al posto del flessore profondo delle dita.

Bracken afferma che né ASIA né NASCIS considerano in maniera paritaria un recupero motorio da 0 a 1 e da 4 a 5, come osservato anche da Nesathurai, aggiungendo che tale assunto non è necessario ai fini clinici o di ricerca. Inoltre afferma che un recupero di 5 punti su un unico livello ha sicuramente un significato funzionale maggiore rispetto al recupero di 5 punti su diversi livelli, ma che l’obiettivo di tali studi è quello di dimostrare l’efficacia di un trattamento grazie al quale i pazienti hanno ottenuto un recupero, anche se con diversa significatività.

L’autore risponde alla critica d’inadeguatezza dell’esame clinico, conseguente alla limitata possibilità di mobilizzare i pazienti in fase acuta, affermando che nei pochissimi casi di esame incompleto i dati sono comunque stati ricavati dal lato opposto del corpo. Il fatto che siano stati presi in considerazione solo i dati relativi al lato destro non inficerebbe pertanto i risultati per l’esistenza di un’elevata correlazione tra le funzioni neurologiche dei due emisomi: considerare entrambi i lati del corpo significherebbe misurare due volte lo stesso fenomeno.

Alle critiche mosse circa la poco attendibile randomizzazione dei pazienti, Bracken risponde sottolineando come, di fatto, i pazienti con normali funzioni neurologiche non abbiano un peso in questi studi, non potendo avere un miglioramento clinico e quindi non potendo influenzare i risultati.

Rileva inoltre come negli studi NASCIS siano state prese in considerazione ed inserite in un’analisi statistica multivariata tutte le condizioni che avrebbero potuto influenzare i risultati, in modo da rendere più affidabile la randomizzazione della popolazione.

La suddivisione in sottogruppi per l’analisi dei risultati, messa in discussione da Nesathurai, viene nuovamente confermata sulla base dell’esperienza di molteplici trials in cui cui la stratificazione post-randomizzazione eviterebbe il rischio di una falsa indagine a doppio cieco su gruppi ristretti.

Essendo inoltre impossibile stabilire, a priori, un razionale biologico per la stratificazione delle somministrazioni, è accettabile utilizzare criteri statistici (media, mediana, moda) per confortare l’ipotesi sull’uso precoce di un farmaco a confronto con un uso tardivo.

Per concludere, Bracken sottolinea come l’incidenza degli effetti collaterali, pur avendo una sua significatività, comunque bassa, vada sempre messa a confronto con gli evidenti benefici apportati dalla terapia con MP. 14  

Dall’analisi della letteratura, si evince che, nonostante le critiche mosse, l’unico studio compatibile con i criteri dell’Evidence Based Medicine, circa il trattamento delle lesioni midollari traumatiche, disponibile fino ad oggi, è il NASCIS III.

Data l’alta incidenza delle lesioni midollari traumatiche e considerate le gravi conseguenze che ne derivano, sono auspicabili ulteriori studi che sciolgano le riserve sull’uso del MP e/o mettano a confronto nuove soluzioni terapeutiche.

 

Bibliografia

 

1)    D.K. Anderson et al. Lipid Hydrolysis and Peroxidation in Injured Spinal Cord: Partila Protection with Methylprednisolone or Vitamin E end Selenium. Central Nervous System Trauma 2, n°4, 1985 Mary ANN Liebert, Inc. Publishers.

2)    M.B. Bracken, M.J. Shepard, W. Young et al. A Randomized, controlled Trial of Metilprednisolone or Naloxone in the treatment of Acute Spinal Cord Injury- Results of the Second National Acute Spinal Cord Injury Study. New England Journal of Medicine, 322: 1405-1411 (May 17), 1990.

3)    Bracken MB, et al. Methylprednisolone and neurological function 1 year after spinal cord injury.Results of the National Acute Spinal Cord Injury Study. J Neurosurg 63: 704-713,1985.

4)    Bracken MB, et al. Methylprednisolone or naloxone treatment after acute spinal cord injury: 1 year follow-up data. Results of the second National Acute Spinal Cord Injury Study. J Neurosurg 76: 23-31, 1992.

5)    Bracken MB, et al. Effects of timing of methylprednisolone or naloxone administration on recovery of segmental and long-tract neurological function in NASCIS 2. J Neurosurg 79: 500-507, 1993.

6)    Bracken MB, et al. Administration of Methylprednisolone for 24 or 48 ours or Tirilazad                                    Mesylate for 48 Hours in the Treatment of Acute Spinal Cord Injury. Results of the Third National Acute Spinal Cord Injury Randomized Controlled Trial. JAMA, May 28, 277: 1597-1604, 1997.

7)    Bracken MB, et al. Methylprednisolone or tirilazad mesylate administration after acute spinal cord injury: 1 year follow up. Results of the third National Acute Spinal Cord Injury randomized controlled trial. J Neurosurg 89: 699-706, 1998.

8)    Ducker TB, Zeidman SM. Spinal cord injury. Role of steroid therapy. Spine Vol. 19, n. 20: 2281-2287, 1994.

9)    Rhoney DH, et al. New pharmacologic approaches to acute spinal cord injury. Pharmacotherapy 1996 May-Jun; 16(3): 382-92.

10)Perez-Espejo MA, et al. The effects of taxol, methylprednisolone, and 4 aminopyridine in compressive spinal cord injury: a qualitative experimental study. Surg Neurol 1996 Oct; 46(4): 350-7.

11)Wing PC, et al. Risk of avascular necrosis following short term megadose methylprednisolone treatment.  Spinal Cord (1998) 36, 633-636.

12)Bracken MB, et al. Methylprednisolone or tirilazad mesylate administration after acute spinal cord injury: 1 year follow up. Results of the third National Acute Spinal Cord Injury randomized controlled trial. J Neurosurg 89: 699-706, 1998.

13)Delamarter RB, Coyle J. Acute management of spinal cord injury. J Am Acad Orthop Surg 1999 May-Jun; 7(3):166-75.

14)Seidl EC. Promising pharmacological agents in the management of acute spinal cord injury. Crit Care Nurs Q 1999 Aug; 22(2):44-50.

15)Hanigan WC, Anderson RJ. Commentary on Nascis-2. Journal of Spinal Disordes, Vol. 5, n. 1: 125-131, 1992.

16)Prendergast MR, et al. Massive steroids do not reduce the zone of injury after penetrating spinal cord injury. The Journal of Trauma; Vol. 37, n. 4: 576-580, 1994.

17)Gerhart KA, et al. Utilization  and effectiveness of methylprednisolone in a population-based sample of spinal cord injured persons. Paraplegia (1995) 33, 316-321.

18)Levy ML, et al. Use of methylprednisolone as an adjunct in the manageme of patients with penetrating spinal cord injury: outcome analysis. Neurosurgery 1996 Dec.; 39(6):1141-8; discussion 1148-9.

19)Gerndt SJ, et al. Consequences of high-dose steroid therapy for acute spinal cord injury. The Journal of trauma: injury, infection and critical care; Vol. 42, n. 2: 279-284, 1997.

20)Koyanagi I, Tator CH. Effect of a single huge dose of methylprednisolone on blood flow, evoked potentials, and histology after acute spinal cord injury in the rat. Neurol Res 1997 Jun.; 19(3): 289-299.

21)Poynton AR, et al. An evaluation of the factors affecting neurological recovery following spinal cord injury. Injury 1997 Oct.; 28(8): 545-548.

22)Heary RF, et al. Steroids and gunshot wounds to the spine. Neurosurgery 1997 Sep.; 41(3): 576-83; discussion 583-584..

23)Petitjean ME, et al. Medical treatment of spinal cord injury in the acute stage. Ann Fr Anesth Reanim 1998; 17(2): 114-22.

24)Shanker Nesathurai. Steroids and spinal cord injury: revisiting the Nascis 2 and Nascis 3 trials. The Journal of trauma: injury, infection and critical care; Vol. 45, n. 6: 1088-1093, 1998.

25)Hurlbert JR. Methylprednisolone for acute spinal cord injury: an appropriate standard of care. J Neurosurg (Spine 1) 93: 1-7, 2000.

26)C WP, et al. A critical Appraisal of the reporting of the national acute spinal cord injury studies (II and III) of Methylprednisolone in acute spinal cord injury. Journal  of Spinal Disorders; Vol. 13, n. 3: 185-199, 2000.

Lascia un commento

Archiviato in Senza categoria

Il dolore nelle lesioni midollari

Pathophysiology  of  pain  after  Spinal  Cord  Injury

G.P. Novelli*,  S. Aito**,

Abstract for the 2003 European congress of Anesthesiology

*Institute of Anaesthesiology, Intensive Care and Pain Therapy;  University of Florence, School of Medicine, Florence, Italy.

** Spinal Cord Center of Florence

 “An  unpleasant sensory and emotional experience associated with actual or potential tissue damage, or described in terms of such damage” is the definition of pain given by the IASP, the Innternational Association for Study of Pain.

Pain is always subjective and each individuals refer different sensations if submitted to the same stimulus in the same conditions. This let us affirm that pain sensation is influenced by several factors and not only by nociceptive stimulus or tissue damage.

The neurophysiological basis of  transmission of pain involve the nociceptors, the input of stimuli in the spinal cord, the spino-thalamic neurons and the thalamo-cortical fibers.

It is important to quote the descending system of endogenous pain control whose activity is mediated mostly by catecholamines, serotonin and endogenous/exogenous opioids.

According to its origin, pain can be classified as nociceptive or neuropathic.

Nociceptive pain occurs when peripheral nociceptors are excited. It is conducted through unmyelinated and small myelinated peripheral nerve fibres, to reach the brain through specific pathways (anterolateral funiculus of the spinal cord via reticular formation and thalamus ). It is sensitive to opioids.

Neuropathic pain results from a damage within the nervous system itself and it does not involve the nociceptors.. some of the past SCI pains that seem to be caused by lesions of the somatosensory pathways passing through the ventrocaudal nucleaus of the thalamus and of the spino-thalamic traat belong to the group of neuropathic painful syndromes.

The neurological lesion may be either minimal or with complete sensory and motor block; its onset may be immediate or, more frequently, be delayed, increasing in severity and/or extent with time, so suggesting that the central events are progressive.

However, central pain sometimes can be spontaneously reversible, suggesting that the underlying mechanism is not necessarily structural.

Neuropathic pain is characterised by deficient discrimination of temperature and shiarpness; its responsivity to opioids is poor or absent.

The mechanisms of SCI pain are the same as those for all kinds of neuropathic pain. The most common are: a) denervation, neuronal  hypersensitivity; b) presence of spontaneously bursting cells and  ectopic generators; c) somatotopographycal reorganisation with opening up of inactive synapses; d) imbalance between excitatory and inhibitory systems; e) sympathetic influences.

 

Incidence of SCI pain

The most frequent causes of SCI are traumas (in fact patients are mostly young males) but there are also inflammatory, vascular, neoplastic, congenital lesions,  etc.

The incidence of pain is different according to various reports, going from a minimum of 6,4% of all SCI quoted by Porter (2) to 94% reported by Botterell (3). The severity and characters of pain frequently hase not been reported. A postal survery performed by finnerup (4) in Denmark on 240 patients indicated that pain occurs in 79% of the patients with a median intensity 46 (VAS) and presence of allodynia in 60% of the patients. Tasker  quotes two of his patients who suffered similar pain but one had a SCI with no clinical deficits and the other had a complete transection (5).

The onset may be precocious within one month in 30% of patients but after one year and till 5 years in 15%. A percentage, of course, of SCI patients don’t experience pain. The development of a syrinx may introduce another cause of delayed pain (6).

Phantom limb and phantom pain appear sometimes after spinal cord transection and are not as vivid at those of amputees (7): they are the basis of the theory of neuromatrix by Melzack (8).

In a study on the quality of life in cronic spinal injured people, the 37% of tetraplegic and the 23% of paraplegicreferred the problem of pain to be more important than those linked to the bladder, bowel, sexuality  or motility.

Pain may strongly influence spinal cord lesioned persons in reaching accettable ability in activity of daily living ( ADL),  and in achieving the reintroduction at work or in the normal social life.

It may be present, in its different forms and expression, in the different stages of a spinal cord lesion.

In the acute stage it is mainly due to trauma occurred to the muscolo-skeletal system, while in the post-acute stage it manifests in a more complex way.

 

Classification of SCI pain.

In order to better understand the type of pain that afflicts the spinal cord lesioned patients, it is very important to classify it in the right way, so that the correct therapeutic approach can be adopted.

Different types of classifications have been proposed and adopted. These were used for the generic pain or for the pain afflicting specifically spinal cord lesioned people.

The best known of them are those proposed by Kaplan (1962) by Michaelis (1970), by Davis (1975), by Burke and Woodward (1976), by Bedbrook.

Siddall (1997) has very well synthesized  all of them, proposing a very easy and complete classification.

He listed 5 categories of past SCI pain:

  1. Muscoloskeletal
  2. Visceral
  3. Neuropathic pain at the level of lesion (neuropatico I)
  4. Neuropathic pain under the level of lesion (neuropatico II)
  5. Other Types  (Siringomyelia, Compressive Mononeuropathy, Algodistrophy. Etc. )

1. Muscoloskeletal pain is consequence of tissue damage or overuse syndrome on bones, muscles, ligaments, intervertebral discs, facets joints.

2.Visceral pain is obviously linked to internal organs pathology ( spastic cholitys, urinary stones, etc.), that must be excluded bifore classifying it as neuropathic one.

These two classes may express themselves in different ways, such as  dull, aching, worse with activities, eased with rest, cramps like, etc. They are to be considered as nociceptive pain.

3. Neuropathic pain, has been divided by Siddal in two subgroups: type I and type II.

Type I is pain occurring at the level of neurologic lesion and type II is that one under the neurologic level of lesion.

Neuropathic pain type I might be referred within two metameres above or under the neurological lesion and can be further divided according to the source of pain in radicular and central.

Radicular pain is due to the pathology of a single nerve root. It can have the same characteristics of the central pain but is referred along a nerve root and often is monolateral. It might increase with the movements of the spine.

Central type pain is due to an intramedullary cells pathology and normally does not change with the movements of the column.

The characteristics of the neuropahic at the level lesion, both radicular or central, are usually referred as burning, stabbing, shooting, electrical shocks, constricting like a chain.

Neuropathic pain type IIis located under the level of lesion and has all the characteristics of deafferentation pain. It must be referred at least 3 levels under the lesion.

During the acute stage of a SCI usually the pain is muscoloskeletal because due to the trauma and the immobilisation. After the spinal shock and in the cronic stage, pain can be present in all its different classes above mentioned.

Typical above the lesion pain is the shoulder pain in tetraplegic patients, or that due to the incorrect posture or gymnastic activity in patient affected by neurogenic muscolar disharmony.

 

         Pharmacological treatment of  neuropathic  SCI pain

The appeearance of PSI pain in patients just suffering for their plegic lesion looks like a tragedy superimposing in a previous one.

The pharmacologic approach to pain is the primary one; it’s comprehensive of:

a)     anticonvulsants like carbamazepine and gabapentine in the attempt to eliminate spontaneous firing of ectopic foci;

b)    tricyclic antidepressant, mostly directed to activate the descending system for endogenous pain control;

c)     some antiarrhytmic drug derived from lignocaine might be considered as  inhibitors of neuronal overexcitability and spontaneous firing;

d)    analgesic drugs are obviously necessary. It must be noted that central pain and SCI pain are well known as poor responders to opioids and good responders to FANS; paracetamol seems to be the most effective one, due to its central action. Tramadol could be considered for patients that obtain relief from opioids with  very low or absent potential of tolerance also in view of very long therapies. Patients obtaining relief from opioids might be submitted to spinal morphine through a subcutaneous implanted pump: although the technique is well developed, few  SCI pain patients are known to receive it.

Anyway neuropathic pain represents great challenge for the clinicians, due to the difficulties in adopting the right solution that many times is never found.

It might also be negatively influenced by other pathologies such as infections or spasticity or by. Nociceptive pain that can be treated pharmacologically by administering FANS, or physical therapies as lase, ultrasound, TENS, local infiltration of anesthetics and cortison,  physiotherapy, massages, acupunctute and relaxation techniques.

 

Stimulation treatment of neuropathic pain

The central pain after neuropathy appears not to be dependent on transmission in pain pathways it could be argued to be relieved by overstimulating and inducing paresthesias.

Deep brain stimulation has been tried in the periacqueductal gray (PAG) or ventrocaudal (Vc) nucleus (12), inducing pain relief only by stimulating Vc electrodes.

Experience with deep brain stimulation is limited to few patients with rarely good relief and with a lot of complications.

Spinal cord electrostimulation  (SCS) is directed to induce paresthesias in the painful area by inserting a special electrode in the peridural space at appropriate level. The mechanism of the action of  SCS is not completely clarified but it is to be related to paresthesias: in fact  SCS relieves steady pain only if precisely located parasthesias are evoked.

Experiments with intrathecal transplant of adrenal medullary chromaffin cells to secrete catecholamines and opioid peptides directly “in situ”: the presented results seem to be effective in reducing pain (13).

Few reports in the literature are very confounding because sone quote good relief in about 50% of the patients but others (14,9) concluded that SCS was a poor operation for treating neuropathic pain. It is worthy to note the difficulties in correct placement of electrode in a peridural space occupied by adhesions, bone fragments, tutors, etc..

My personal experience with SCS for neuropathic pain is limited to two patients: one with incomplete lesion of the cauda whose 60 – 70% pain relief continues since 1986 and the other one with neuropathy at C7 whose pain relief continues from about 20 months although not complete.

 

Surgical treatment of neuropathic pain

When neuropathic pain is unbearable, disabling  and fails to respond to conservative measures, surgery might be considered.

Rhizotomy, cordotomy, cordectomy and dorsal root entry zone lesions (DREZ) and interruption of pain pathways seem to improve neuralgic pain but not steady pain that is affected mostly by chronic stimulation techniques.

Anyway, looking at surgery as treatment of neuropathic pain the cohexistence of different pain sources must be considered. Destructive stereotactic lesions have been reported but with unconclusive or poor results.

 

Psycotherapy

Psycological support plays a very important role in the comprehensive management of neuropathic pain. By observing that pain is mostly present during evening and night time or when patients are not involved in activities let us believe that better results might be achieved by using behavioural techniques.

 

Conclusions

Although none of the above mentioned treatments is, alone, sufficient to win the challenge of the neuropathic pain in spinal cord lesioned patients, I think that success can be reached only by adopting some of them in association with a multidisciplinary approach.

 

 

1.     Tasker RR. Spinal cord injury and central pain. In: Aronoff GM (ed) “Evaluation and treatment of chronic pain”, 3rd edit, Williams & Wilkinsn, Baltimore, 1988: 131-146

2.     Porter RW, Hohmann GW, Bors E et al. Cordotomy for pain following cauda equina injury. Arch Surg 1966;92:765-770

3.     Botterell EH, Callghans JC, Jousse AT. Pain in paraplegia: clinical management and surgical treatment. Proc R Soc Med 1954; 47:281-288

4.     Finnerup NB, Bach FW, Johannesem IL et al. A postal survery of pain and dysesthesias in patients with spinal cord damage. 9th World Congress on Pain, Wien 1999:436

5.     Tasker RR, De Carvalho GTC, Dolan EJ. Intractable pain of spinal cord origin: clinical features and implications for surgery. J Neurosurg 1992;77:373-378

6.     Milhorat TH, Kotzen RM, Muhtm et al. Dysesthetic pain in patients with syringomyelia. Neurosurgery 1996;38:940-947.

7.     Carlen PL, Wall PD,  Nodvorna H et al. Phantom limbs and related phenomena in recent traumatic amputations. Neurology 1978;28:211-217

8.     Melzack R. From the gate to the neuromatrix. Pain suppl 6:S121-S126

9.     Pagni CA. Central pain due to spinal cord and brain stern damage. In: Wall & Melzack (eds) “Textbook of pain”, Churchill, Edimburg 1984:481-495

10.  Davis L, Martin J. Studies upon spinal cord injuries: nature and treatment of pain. J Neurosurg 1947;4:483-491

11.  Richards JS, Meredith RL, Nepomuceno C et al. Psychological aspects of chronic pain in spinal cord injury. Pain 1980;8:355-366

12.  Tasker RR, Vilela Filho O. Deep brain stimulation for the control of intractable pain. In: Youmans JR (ed) “Neurological surgery”……3rd edit 1996:3512-3527

13.  Hains BC, Chastain KM, Everhart AW et al. Cellular transplantation for delivery of catecholamines as treatment for chronic central pain spinal cord injury. )th World Congress on Pain, Wien 1999:520

 

 

Lascia un commento

Archiviato in Senza categoria

Le lesioni C4-C5

Lesioni C4-C5: suggerimenti basilari di assistenza e cura

                          Presentazione al convegno C.N.O.P.U.S. dell’anno 2000

                                  

                                           Dott. Sergio Aito

Le lesioni midollari che coinvolgono i segmenti cervicali C4 e C5 sono le più gravi tra quelle compatibili con la sopravvivenza in respiro spontaneo. Infatti lesioni più alte comprometterebbero talmente la funzionalità del diaframma, da rendere il respiro insufficiente e quindi porterebbe in breve ad ipossia e morte.

Prima di tutto tracciamo le linee di demarcazione del campo in cui ci muoviamo quando parliamo di livelli neurologici C4 e C5.

l’American Spinal Injury Association (ASIA), ha definito uno standard di classificazione neurologica, che è poi stata adottata dall’ISCoS, ed è ormai diventato lo standard in tutte le strutture specializzate nella cura della para-tetraplegia.

Secondo questo standard si definisce livello neurologico il segmento più caudale del midollo spinale in cui siano conservate le funzioni motoria e sensitiva normali in entrambi i lati del corpo. Nella versione più recente di tale classificazione si sottolinea la necessità di definire un livello sinistro ed uno destro.

La più vecchia classificazione di Frankel è stata poi adottata anche dall’A.S.I.A. ed introdotta, assieme ad altre scale di valutazione di tipo funzionale, negli standard dell’ISCoS.

Secondo questa classificazione le lesioni midollari possono essere di 5 tipi:

A= Completa. La funzione sensitiva o motoria non è conservata nei segmenti sacrali S3- S5.

B= Incompleto. La funzione sensitiva, ma non quella motoria, è conservata sotto il livello neurologico e si estende ai segmenti sacrali S3-S5.

C= Incompleto. La funzione motoria  è conservata sotto il livello neurologico e la maggior parte dei muscoli chiave sotto quel livello ha un grado di forza muscolare minore di 3.

D= Incompleto. La funzione motoria è conservata sotto il livello neurologico e la maggior parte dei muscoli chiave sotto tale livello ha un grado di forza muscolare maggiore o uguale a 3.

E= non deficit neurologici.

Per definire il livello neurologico agli arti superiori, si testano alcuni movimenti chiave, a cui si dà un punteggio da 1 a 5.

Per il livello C4 non viene definito un movimento chiave, per cui, quando non viene rilevata attività motoria degli arti superiori, si definisce il livello come quello corrispondente a quello sensitivo. Si raccomanda, però, di testare il movimento del diaframma tramite fluoroscopia e la validità del muscolo deltoide.

Per il livello C5  il movimento chiave è la flessione del gomito.

Tale schematizzazione tiene conto del fatto che, pur essendo tutti i muscoli innervati da nervi i cui nuclei spaziano su più segmenti midollari, il maggior contingente di fibre proviene da un dato segmento.

Perciò un paziente definito C4 motorio avrà i seguenti muscoli indenni nella loro funzione:

-trapezio  (C2, C3, C4)

-sternocleidomastoideo  (C1, C2, C3, C4)

-scaleni  (parte delle loro fibre) (C4, C5, C6, C7)

-diaframma (parte delle sue fibre) (C3, C4, C5)

– elevatore della scapola (parte delle sue fibre)  (C3, C4, C5)

Quelli con livello C5 avranno funzionanti anche:

– romboide  (parte delle sue fibre)  (C5, C6)

– piccolo rotondo (parte delle sue fibre (C5, C6)

– sopraspinato   (parte delle sue fibre) (C5, C6)

– sottospinato   (parte delle sue fibre (C5, C6)

– deltoide  (parte delle sue fibre (C5, C6)

– grande rotondo (parte delle sue fibre) (C5, C6)

–  bicipite (parte delle sue fibre) (C5, C6)

– dentato anteriore (parte delle sue fibre )  (C5, C6, C7)

– sottoscapolare  (parte delle sue fibre ) ( C5, C6, C7, C8)

– gran pettorale  (parte delle sue fibre) (C5, C6, C7, C8, D1)

Dal punto di vista della sensibilità la situazione sarà la seguente:

C4: sensibilità tattile e dolorifica presente fino a livello delle clavicole , assente agli  arti superiori,  arti inferiori e al tronco.

C5: sensibilità tattile e dolorifica presente anche nella  superficie laterale delle braccia.

Può essere presente un’asimmetria destro – sinistra.

Naturalmente questo vale per le lesioni cosiddette complete e per quelle incomplete ASIA B.

Il discorso cambia notevolmente per le lesioni incomplete tipo Brown-Sequard o per quelle tipo centromidollari (Frankel C e D ).

Queste, oltre ad avere una prognosi totalmente diversa, presentano una evoluzione tutta particolare.

Infatti nelle prime residuerà spesso una paralisi parziale monolaterale o almeno prevalentemente da un lato, con alterazioni della sensibilità dal lato opposto, mentre nei secondi ci sarà un deficit motorio- sensitivo specie a carico degli arti superiori, con arti inferiori più validi che permettono in molti casi la deambulazione.

Naturalmente, quando il midollo cervicale viene interessato, si creeranno le situazioni più diverse, a seconda dell’area interessata dalla lesione. Questa dipenderà spesso dalle modalità del trauma, dalla qualità dell’assistenza subito dopo l’evento, oltre che dalle dimensioni del canale midollare, che, quando è troppo stretto, costituisce condizione aggravante della lesione. La misurazione del calibro del canale si effettua sulle Rx standard in proiezione laterale, o, meglio ancora sulle immagini TAC bi- o tri-dimensionali. La misura media di un adulto è di circa 12 o 13 mm, ma, sia per motivi di errori di proiezione che per variazioni individuali antropomorfiche, per definire l’ampiezza si misura l’indice di Pavlov, che è il rapporto tra il diametro antero-posteriore del canale e il diametro antero-posteriore del corpo vertebrale. Questo è in media 0.8; quando è più basso si parla di canale ristretto, viceversa si parla di canale ampio.

Quando la lesione neurologica nella sua fase acuta è di livello C4 o C5, il paziente sarà in condizioni critiche, tanto da avere sempre una prognosi riservata quoad vitam.

Durante le prime fasi della cura, che devono prevedere:

-un accurato esame neurologico,

-la perenne immobilizzazione della colonna spinale

-varie indagini diagnostiche.

Vanno costantemente monitorizzati i parametri vitali, quali il respiro, la pressione arteriosa e l’attività cardiaca, e corrette con interventi medici le anomalie funzionali.

Un attento esame clinico, preceduto da un’accurata anamnesi prossima e remota, deve essere volto a valutare lo stato neurologico della lesione. Attenzione deve essere posta all’attività respiratoria, che in questa fase, presenterà il cosiddetto respiro paradosso: espansione ridotta rispetto alla norma e lungo il diametro trasverso e rientramento a livello degli spazi intercostali dovuto alla caduta della pressione intratoracica, non contrastata a causa della paralisi dei muscoli intercostali.  Se gli scaleni sono ipovalidi rispetto al diaframma è spesso presente un rientramento della parte alta della gabbia toracica soprattutto all’inizio dell’inspirazione.

Una radiografia del torace corredato da uno studio dinamico (FLUOROSCOPIA) è volto a escludere la paralisi monolaterale del diaframma, che porterà come conseguenza una riduzione della Capacitò Vitale fino a 1000 cc. o ancora più bassa. L’esame dei gas ematici ci mostrerà sempre una diminuita concentrazione di O2 arterioso, di solito senza un aumento della CO2. Qualora quest’ultimo fattore  sia presente si dovrà ricorrere all’intubazione tracheale per la somministrazione di una ventilazione controllata (IPPV). Se non c’è aumento della CO2, si corregge l’ipossiemia con la semplice somministrazione di miscela di aria arricchita in O2, umidificata e riscaldata.

L’iter diagnostico comprende esami ematici, Rx del rachide in toto, TC, RMN, ecografia addominale, Rx e TC cranio per il possibile trauma cranico associato, e quant’altro si ritenga necessario date le condizioni del paziente.

Terminato l’iter diagnostico, che non dovrebbe protrarsi per più di 3 ore, si stabiliscono le modalità del trattamento. Esso deve avere la principale finalità di ristabilire le migliori condizioni anatomiche della colonna (riduzione della lussazione) e di immobilizzarla in quella posizione.

Questi scopi si raggiungono con  trattamento  conservativo  o  chirurgico.

Trattamento conservativo:  riduzione manuale, trazione cranica, immobilizzazione esterna con ortesi.

Trattamento chirurgico: riduzione chirurgica, liberazione del canale da frammenti, ampliamento del canale midollare (laminectomia, rimozione di parte o tutto il corpo vertebrale), stabilizzazione con mezzi meccanici (placche e viti per via anteriore, sistemi di ganci e molle per via posteriore, sistemi misti per via anteriore e posteriore, sempre accompagnati da artrodesi per una maggiore stabilità).

Non mi inoltrerò nelle problematiche delle indicazioni e controindicazioni di tali comportamenti terapeutici, ma sottolineerò un fattore spesso trascurato, che è quello della disponibilità e delle capacità chirurgiche del team. Spesso non si riescono ad applicare le tecniche più idonee, sia conservative che chirurgiche, per l’incapacità degli operatori chiamati ad intervenire, e quindi si deve perseguire la strada più idonea alle proprie capacità che meglio permette il raggiungimento di tale scopo, qualora non sia possibile affidare il paziente alle cure di un team esperto e specializzato.

Per una corretta cura e riabilitazione dei pazienti medullolesi con livello C4 e C5, è necessario conoscere le problematiche mediche che si presenteranno durante la degenza, iniziale e tardiva.

Esse si possono così elencare: 

A)  Scompensi respiratori.

Le alterazioni  respiratorie dopo lesioni C4 o C5 sono principalmente conseguenti alla disfunzione ventilatoria, specialmente per la fase espiratoria, e quindi  alla impossibilità o quasi a tossire e rimuovere le secrezioni tracheo-bronchiali. Anche se il diaframma  può da solo realizzare il 65% della capacità vitale, nella fase acuta, questi pazienti non supereranno in genere il 25-30% della C.V. teorica.

Essi perdono la maggior parte del volume di riserva espiratoria a causa della paralisi dei muscoli espiratori.

La drammatica riduzione della capacità vitale tende a migliorare, entro alcuni mesi dopo il danno, anche in assenza di recupero neurologico. I tetraplegici, infatti, tendono a raggiungere approssimativamente il 60% della capacità vitale teorica entro i 3 mesi dopo la lesione. Durante questo periodo si assiste anche alla  risoluzione del respiro paradosso della fase acuta.

 E’ importante sottolineare  che i volumi polmonari, nei pazienti tetraplegici, possono essere influenzati significativamente dalla posizione. La capacità vitale aumenta in posizione supina a causa dello spostamento del diaframma nel torace, che porta  ad  un aumento del  rapporto allungamento/tensione, con il conseguente aumento della forza di contrazione diaframmatica.

La diminuzione della capacità vitale in posizione eretta o seduta  può essere parzialmente corretta  dall’uso di pancere o corsetti.

La pressione inspiratoria è normalmente ridotta, ma tende a migliorare nel tempo man mano che diminuisce il movimento paradosso toracico e che la forza del diaframma aumenta, per effetto del training respiratorio.

Naturalmente anche la massima pressione espiratoria risulterà drammaticamente ridotta a causa della mancante attività della muscolatura espiratoria. La fase espiratoria in questi individui è esclusivamente prodotta da un fenomeno elastico passivo della gabbia toracica e del diaframma, e normalmente non migliora con il tempo se non sopravviene un recupero neurologico.

I test della funzionalità respiratoria degli individui con alti livelli di lesione  midollare dimostrano un tipico deficit ventilatorio di tipo restrittivo.

Nell’ottica della prevenzione delle complicanze, vanno monitorizzati la frequenza respiratoria, la capacità vitale, la saturazione periferica di O2, assieme all’analisi dei gas ematici, la spirometria, l’emocromo e gli elettroliti, durante tutta la fase acuta della malattia.

L’ascoltazione del torace deve essere eseguita frequentemente anche dal personale di assistenza infermieristica, onde verificare la presenza di secrezioni nell’albero tracheo – bronchiale, che, se non espulse, possono provocare ingombro bronchiale, atelettasie e processi pneumonici.

La somministrazione di O2 umidificato e riscaldato, di liquidi per via venosa, insieme a broncodilatatori e fluidificanti,  l’aiuto all’espettorazione e il continuo drenaggio posturale, vanno eseguiti durante l’arco delle 24 ore, durante tutta la fase acuta. Spesso può essere necessario ricorrere a broncoaspirazione mediante fibroscopia, qualora metodiche meno invasive non sortiscano il desiderato effetto. Attenzione deve essere posta durante la broncoaspirazione, perché l’ipossiemia può aumentare il  rischio di riflessi vagali, con possibili bradicardie e arresto cardiaco.

I maggiori problemi respiratori, nella nostra esperienza, sorgono in genere dopo la seconda-terza giornata dalla lesione.

Se la Capacità Vitale (CV) non supera i 1000 cc. bisogna sempre sospettare una paralisi monolaterale del diaframma, che viene indagata tramite radioscopia. Sotto tali valori diviene necessaria l’adozione di ausili ventilatori come la BIPAP o l’IPPB, sistemi di erogazione di pressioni positive aggiuntive al Volume Corrente spontaneo. Tali terapie possono essere somministrate tramite l’uso di maschera nasale o di un  semplice boccaglio, per periodi  limitati della giornata. Per la BiPAP si predilige la somministrazione durante le ore notturne.

Se i trattamenti medico, assistenziale e fisioterapico in fase acuta vengono effettuati in maniera corretta e tempestiva, si può spesso evitare il ricorso all’intubazione tracheale e alle protesi ventilatorie, le quali tecniche creeranno inevitabilmente problemi aggiuntivi, quali il difficile svezzamento, oltre al drammatico impatto psicologico negativo che la tracheotomia comporta.

Voglio però sottolineare il rischio del’affaticamento muscolare e del conseguente esaurimento, che la terapia conservativa può presentare, specie se la parziale denervazione del diaframma risulta essere soprattutto a carico del secondo motoneurone. 

La scelta del trattamento, perciò, deve tener conto di tutte le variabili, tra le quali voglio menzionare la disponibilità di personale adeguatamente addestrato al controllo dei parametri e alla somministrazione delle terapie prima elencate.

Quando la CV avrà raggiunto i 1500 cc. si potranno iniziare gli esercizi di spirometria incentiva, e quando la stabilità ossea del collo lo permetterà, saranno praticati esercizi isometrici di rafforzamento dei muscoli del collo e degli accessori. Esercizi di allungamento e di rilasciamento dovranno nello stesso tempo essere praticati, al fine di evitare l’accorciamento muscolare.

 Dopo un periodo variabile, che può andare fino a tre mesi, le condizioni respiratorie si stabilizzeranno ed un nuovo equilibrio si istaurerà tra la richiesta di ossigeno e la respirazione.

In conclusione voglio sottolineare il fatto che, per i tetraplegici, un buon trattamento respiratorio nella fase acuta, insieme al corretto trattamento medico generale, può ridurre le complicanze, il ricorso alla tracheotomia, oltre a creare le condizioni per una migliore performance respiratoria futura.

Ciò nonostante non si deve abbassare la guardia anche nel periodo post-acuto o addirittura dopo le dimissioni, in quanto complicanze respiratorie si possono verificare, come accade spesso, anche a distanza di mesi o anni dopo l’evento acuto.

Per tutti i pazienti con lesioni C4 e C5 si consiglia un training  all’uso di supporti ventilatori moderni, come la BiPAP, che potrà essere utile al proprio domicilio in casi di aumentata richiesta di ossigeno, come ad esempio durante periodi di febbre da infezioni varie, o addirittura durante affezioni delle alte vie respiratorie. L’uso, anche sporadico di ausili ventilatori, può evitare il peggioramento respiratorio e l’inevitabile successiva ospedalizzazione.   

Voglio qui ricordare la “sleep apnea”, che può colpire questi pazienti durante le ore notturne. In questi casi diventa indicato l’uso notturno della BiPAP, che eviterà i ripetuti risvegli angoscianti e garantirà un minore affaticamento diaframmatico, a cui conseguono l’inevitabile astenia diurna.

B) Scompensi cardiocircolatori.

  Il cuore è innervato sia dal sistema simpatico (nodo S.A., fascio A.V. e ventricoli) che dal sistema parasimpatico, nervo vago, (nodo S.A., nodo A.V.) . La stimolazione simpatica aumenta la frequenza di scarica del nodo S.A., aumenta la conduzione attraverso il nodo A.V., con conseguente aumento della contrazione miocardica. La  stimolazione parasimpatica (vagale) diminuisce la frequenza cardiaca, riduce la conduzione atrioventricolare  e la contrazione atriale.

I vasi sanguigni ricevono un’innervazione simpatica e in minima parte parasimpatica.

 Dopo il trauma si osserva una perdita  del controllo nervoso simpatico con conseguente ipotensione  (perdita del tono vasomotore dei vasi periferici  e vasodilatazione) e bradicadia, a causa della prevalente stimolazione vagale. Sono fenomeni che si osservano nella fase acuta dello shock spinale.

Nelle fasi successive della malattia si può assistere a fenomeni di disreflessia con ipertensione, cefalea e rush cutaneo che possono sfociare in edema polmonare o emorragia cerebrale.

La  situazione emodinamica, aggravata dalla paralisi muscolare degli arti inferiori che interrompe la funzione di pompa sulle vene, crea una particolare predisposizione allo svilupparsi di una Trombosi Venosa Profonda (TVP).

 La monitorizzazione di Pressione Arteriosa, Frequenza Cardiaca e  Pressione Venosa Centrale e dei fattori di coagulazione compreso il fibrinogeno, rappresentano misure standard di profilassi delle alterazioni cardiocircolatorie. Anche l’utilizzo di gambali per la compressione pneumatica esterna sequenziale, associata all’uso dell’eparina a basso peso molecolare, risulta essenziale nella prevenzione della TVP e dell’embolia polmonare.

C) Scompensi metabolici.

  Si  osserva una iperglicemia da stress e da somministrazione massiva di cortisonici, e una ipoproteinemia da aumentato catabolismo proteico.

Il ricambio del calcio è particolarmente alterato nei medullolesi. Recenti studi hanno dimostrato che i medullolesi sono soggetti alla osteoporosi in maniera elevata e non confrontabile con nessun’altra patologia, perfino tumorale. Tali ricercatori consigliano una costante prevenzione dell’ipocalcemia e un continuo controllo osseo per evitare il rischio di fratture. L’osteoporosi risulta essere a carico delle ossa lunghe e non delle vertebre. 

D) Squililbri idroelettroliltici.

  Iponatriemia e ipopotassiemia da eccessiva eliminazione renale e difficilmente controllabile con la terapia parenterale.

Una sindrome da inadeguata secrezione di ADH può  presentarsi in tutti i casi con associato trauma cranico.

Si devono dosare quotidianamente gli elettroliti plasmatici e urinari.

La mobilizzazione precoce può ridurre l’iperincrezione di renina.

E) Disturbi della termoregolazione.

  Può presentarsi ipertermia che può far sospettare infezioni (urinarie, ematiche, respiratorie, valvolari cardiache) o una T.V.P, che deve essere indagata mediante ecocolordoppler.

Una volta escluse cause infettive si parla di disturbi di termoregolazione che vengono trattati con raffreddamento esterno e se necessario con somministrazione di cocktails  litici.

F) Alterazioni dei fattori della coagulazione.

  Aumento del fibrinogeno, diminuzione di AntiTrombina III che può ridurre la risposta agli anticoagulanti e frequnte piastrinopenia da ipersensibilità all’eparina.

Attività protrombinica, I.N.R:, PTT, fibrinogeno e piastrinemia vengono dosati da 1 o  2  volte a settimana, a seconda delle necessità individuali.

G) Disturbi gastroenterici.

  Dilatazione gastrica e paralisi intestinale  possono durare da 4 – 5 giorni fino a 15 giorni  ed oltre l’evento traumatico  ed impongono la sospensione della nutrizione orale.

Le ulcere da stress possono essere prevenute mediante somministrazione di gastroprotettori e la somministrazione di piccole quantità di cibo cremoso (yogurt, gelato).

La somministrazione di prostigmina per via intramuscolare, al fine di aumentare la motilità intestinale, può provocare crisi di bradicardia fino all’arresto cardiaco.

H) Alterazioni delle funzioni vescico – urinarie.

  Durante la fase acuta ci troviamo  di fronte ad una vescica flaccida  e atonica. Nei primi giorni, durante la somministrazione di liquidi parenterali, il controllo orario della diuresi impone un cateterismo vescicale a permanenza e, successivamente,  si passa a  cateterismi intermittenti, se le condizioni  lo permettono. L’esame delle urine, l’urinocoltura e gli esami di funzionalità renale si eseguono durante  la fase acuta. Prima di iniziare la riabilitazione vescicale viene esseguita una ecografia della pelvi  per verificare le condizioni morfologiche dell’apparato urinario.

Il cateterismo sovrapubico, eseguito di routine nella fase acuta in alcuni centri, deve essere preso in considerazione al fine di una maggiore autonomia.

I) Infezioni.

  Le infezioni più ricorrenti sono : broncopolmonite, infezioni urinarie, tromboflebite e setticemia.

L)  Dolore.

  Il dolore dovuto al trauma  è facilmente dominabile dagli analgesici, mentre il dolore da deafferentazione di tipo costrittivo al torace o alle braccia, trafittivo o riferito come parestesie o iperalgesia, che si presenta precocemente nei casi di lesioni incomplete, va trattato con  antidepressivi triciclici o antiepilettici insieme a cortisonici a basse dosi  e FANS.

M)  Agitazione psicomotoria.

  Deriva da varie cause : psicosi pregresse, concomitante trauma cranico, incapacità ad accettare lo stato  di estremo malessere, dolore, età, abnorme reazione a farmaci tranquillanti. Una consulenza psichiatrica  ci può aiutare a trovare la miglliore soluzione terapeutica per affrontare tali situazioni. 

Condizioni aggravanti sono poi le eventuali patologie pregresse e i traumo associati.

Oltre a dover tenere sotto controllo le alterazioni di  cui abbiamo  parlato, nell’ottica di definire un  programma riabilitativo che possa dare il massimo dei risultati, bisogna  focalizzare  l’attenzione sulla prognosi del recupero neurologico.

Vari studi sono stati condotti negli ultimi anni, specialmente dagli autori statunitensi, assillati dai ristretti tempi a loro disposizione per la riabilitazione globale in regime di ricovero. Essi sono volti a definire meglio il recupero neurologico delle lesioni cervicali e soprattutto il timing.

Le cause di lesione sono quelle esposte nei grafici, rispettivamente per i due livelli di lesione. Sostanzialmente le cause sono simili, con una relativa alta incidenza di cadute dall’alto e traumi da tuffo.

 Dall’analisi dei dati si deduce che:

L’ 80%delle lesioni C4 e il 90% delle lesioni C5 che all’ingresso erano ASIA A, rimangono tali alle dimissioni.

Che le ASIA B all’ingresso, per più del 50% evolvono positivamente.

Le ASIA C e D hanno una prognosi ancora più favorevole.

Per quanto riguarda il recupero neurologico al livello della lesione, possiamo notare che il 21% dei C4 diventano C5, il 2,5% C7 e il 2,5% C8. Il recupero è ancora più eclatante per gli ASIA B e C all’ingresso. Lo stesso accade per le lesioni C5.

Essendo il comportamento riabilitativo diverso per i differenti livelli di lesione, bisogna tener presente le possibilità di recupero, soprattutto nel timing riabilitativo

Lascia un commento

Archiviato in Senza categoria

Pain in Spinal Cord Injuries

Chronic pain in Spinal cord lesions

Sergio Aito

Florence, Italy

 ABSTRACT

Pain is an unpleasant sensory and emotional experience associated with tissue damage. Pain is always subjective and the degree of sensation does not depend only on tissue damage but on many factors related to the individual and the environment.

More than 60% of patients with Spinal Cord Injury (SCI) suffer from pain. Individuals with SCI can experience several types of pain such as nociceptive (somatic or visceral), and  neuropathic.

Nociceptive pain is the result of the normal processing of stimuli that damage or disturb tissues.  Nociceptive pain has an identifiable cause, either from musculoskeletal problems or from visceral  ones. In SCIs, pain might be localized over the level of lesion or below the level.

Musculoskeletal pain can be caused either by injury at the time of lesion, or be related to overuse and aging. Musculoskeletal pain is usually described as dull or aching and well-localized. It often worsens with activity, diminishes with rest, and responds to non-steroidal anti-inflammatory drugs (NSAIDs), cold and rest.

Visceral pain is often caused by undiagnosed gastrointestinal disease. Pain is usually poorly localized and can be associated with increased spasticity, overall discomfort, fever and changes in bowel habits.

Neuropathic pain results from the abnormal processing of sensory input due to the peripheral or central nervous system damage. It may be difficult to identify a specific stimulus or cause of neuropathic pain, and it may be unresponsive to conventional methods of treatment.

Neuropathic pain is caused by nerve damage and it can be classified as peripheral and central. Peripheral neuropathic pain  tends to be one-sided and is frequently described as shooting, burning, aching, or crushing. It can worsen with rest and improve with activity.

Central neuropathic pain is localized below and/or at the level of lesion  and is commonly described as burning, tingling, shooting, stinging, stabbing, piercing, cutting, crushing, aching, and nagging. The pain is often diffuse and poorly localized and is more common when the cause of lesion is gun shot, when the lesion affect

elderly people, when there is increased anxiety, and adverse psychosocial situations (depression), and it may be exacerbated by fatigue, tobacco use, stress, overexertion, bowel or bladder complications, pressure sores, spasticity, and weather changes.

Onset of neuropathic pain is usually recorded  weeks to months after injury.  The treatment of neuropathic pain may include the combination of drugs, physical therapy and psychological support. The assessment and treatment must be in charge to a multidisciplinary team, including doctors, nurses, physical therapists and

psychologists.

Pain has important negative impacts on the quality of life of persons with SCI. The presence of pain is associated with poorer psychological functioning and social integration, and the intensity of pain interferes with a number of important basic activities of daily living.

 

Lascia un commento

9 febbraio 2014 · 23:57

Spinal Cord Injury: European pattern (2005)

by Sergio Aito

ISCOS Vice-president Europe

 

Towards the ISCOS European network on Spinal Cord Lesions

 

Since I was honoured to be elected Vice-President of ISCOS for Europe, I had the heavy duty to continue the great work that Fin Biering Sorensen did before me.  As by the suggestions received by Fin,  I included  two main goals into my mission:

1.     I am trying to create a net of correspondence all over Europe, in order to unify the behaviours and the knowledge that spreads in our old continent. I believe that, as we are trying to economically and politically unify the different european nations, we should also try to unify and make homogeneous our knowledge and behaviours in medicine. The European Community  is growing very rapidly and the population sum of the different states counts almost half billion people. Those people speak tens of different languages and, because of their old history, are very different in cultures and behaviour. The process of economical and political unification will be the european miracle, that, I believe, will enrich very much our individual cultures and contribute to the whole world development.

2.   I am trying to involve as many countries as possible from former eastern Europe. These were for political reasons, partially isolated from the rest of Europe. On one hand I hope to spread the culture of the comprehensive care for individuals with spinal paralysis which is ISCOS main mission, on the other hand I try to enrich the whole of Europe with extensive knowledge and different techniques of rehabilitation that characterized the strength of those former eastern countries.

I shall confess that such mission is very hard, but, at least, I am trying by continuing the work that Fin started some years ago.

The aim of the work that I will briefly present was to draw a picture of the epidemiology and the situation of the care of Spinal Cord lesions all over Europe. I developed  a questionnaire which was administered via telephone to the most expert Clinicians in SCI in each of the 20 countries. The data from the questionnaire was also integrated with data from the scientific literature and those previously obtained by Sorensen in his previous investigation.

The questionnaire was composed by the following items:

1.     Population

2.     Annual Incidence of SCI

3.     Hospital treating acute patients

4.     Lenght of Stay  in acute hospital ( weeks )

5.     Skin lesions detected in acute stage                                  %

6.     Use of Methylprednisolone according to NASCIS III      %

7.     Surgical  treatment in acute stage                                      %

8.     MRI diagnostic procedures in emergency                         %

9.     Number of Spinal Units in the Country                     

10.  Number of specilised or dedicated beds in the Country

11.  SCI Patients rehabilitated in Spinal Units                         %

12.  Acute injuries treated in Spinal Units                                %

13.  Length of  Stay  in rehabilitation ( months )

 

The experts contacted and interviewed were the following:

·      F. Martins (Portugal )

·      G. Mazaira,  Juan Gª Reneses ( Spain )

·      B. Perrouin Verbe ( France )

·      W. El Masri ( United Kingdom)

·      Mater Hospital ( Ireland )

·      S. Yngvason  ( Iceland )

·      A. Nene ( The Nederlads )

·      M. Ventura ( Belgium )

·      M. Groanning  ( Norway )

·      L. Werhagen ( Sweden )

·      H. Alaranta ( Finland )

·      D. Kaneps  ( Latvia )

·      J. Opara ( Poland )

·      T. Penteleny ( Hungary )

·      Gelu Onose  ( Romania )

·      R. Cop ( Croatia )

·      R. Savrin  ( Slovenia )

·      R. Baumberger ( Switzerland )

·      H. P. Jonas  ( Austria )

·      G. Exner ( Germany )

·      S. Aito ( Italy )

 

The literature included the following published articles:

       F.B. Sorensen, Incidence of Spinal Cord Lesions in Europe, from the book:  

      Management of Spinal Cord Lesions, State of Art;  2002

       Gehrig R, Michaelis LS.; Statistics of acute paraplegia and tetraplegia on a national scale; Paraplegia 1968;6:93-5

       Minaire P, Castanier M, Girard R, Berard E, Deidier C, Bourret J; Epidemiology of Spinal cord injury in the Rhone-Alpes region, France, 1970-75; Paraplegia 1979;16:76-87

       Gjone R, Nordlie L; Incidence of traumatic paraplegia and tetraplegia in Norway: a statistical survey of the years 1974 and 1975; Paraplegia 1979; 16:88-93

       Knutsdottir S.; Spinal cord injuries in Iceland 1973-1989. A follow up study; Paraplegia 1993;31:68-72

       Biering- Sorensen F, Pedersen V, Clausen S; Epidemiology of Spinal cord lesions in Denmark; Paraplegia 1990;28:105-18

       Garcia Reneses J, Herruzo-Cabrera R, Martinez-Moreno M; Epidemiological study of spinal cord injury in Spain 1984-1985; Paraplegia 1991:28:180-90

       Koning W, Frowein RA; Incidence of spinal cord injury in the Federal Republic of Germany; Neurosurg Rev 1989; 12:562-6

       Martins F, Freitas F, Martin L, Dartigues JF, Barat M; Spinal Cord injuries-epidemiology in Portugal’s central region; Spinal Cord 1998;36:574-8

       Soopramanien A; Epidemiology of Spinal Injuries in Romania; Paraplegia 1994;32:715-22

       Asbeck FWA van, Post MWM, Pangalila RF; An epidemiological description of spinal cord injuries in The Netherlands in 1994; Spinal Cord 2000;38:420-4

       Pagliacci MC, Celani MG, Spizzichino L, Zampolini M, Aito S, Citterio A, Finali G, Loria D, Ricci S, Taricco M and Franceschini M on behalf of the ‘ Gruppo Italiano Studio Epidemiologico Mielolesioni (GISEM) group; Spinal cord lesion management in Italy: a 2-year survey; Spinal Cord 2003;41:,620-28

       Aito S on behalf of the ‘ Gruppo Italiano Studio Epidemiologico Mielolesioni (GISEM) group; Complications during the acute phase of traumatic spinal cord lesions; Spinal Cord 2003; 41:629-35

       Albert T, Ravaud G-F and the tetrafigap group; Rehabilitation of spinal cord injury in France: a nationwide multicentre study of incidence and regional disparities; Spinal cord 2005;43:357-65

 

The results showed the following picture:

 

       Investigated population

     462 millions

 

       Mean Incidence of SCI

 

    17.5 x million

 

       Number of hospital treating acute patients

 

        430

 

       Mean Lenght of Stay  in acute hospital   ( weeks )

 

          3

 

       Skin lesions in acute stage   %

 

        6.5%

 

       Use of MP according to NASCIS III   %

 

         51%

 

        Surgical  treatment    %

 

       87.5%

 

        MRI diagnostic procedures in emergency

 

       70%

 

        Number of Spinal Units

 

       137

 

        Number of specialised beds

 

       4931

 

        % of patients treated in Spinal Units

 

       90%

 

        % of acute injuries treated in Spinal Units

 

      27%

 

        L.o.S. in rehabilitation ( months )

 

        2 – 12

 

 

Conclusions

 

The Incidence of spinal cord injury in Europe is lower than in USA, probably due to the

lower incidence of violence acts: it should account  8,000 people per year  

The use of high dose MP is not universal . MP is not recognized to be useful in practice

is becoming less and less popular. In Countries like Germany the use of Methylprednisolone is referred to be used in less than 15% of cases.

 The majority of patients are treated in Centers with specialized beds. Only in few Countries and only partially, they can be accepted in Spinal Units from the early acute stage ( U.K., Ireland, Germany, Italy, Spain, Poland)

Complications in acute stage are more frequent if patients are not managed in specialized Centers soon after the lesion, and when length of stay in general acute hospitals is longer ( e.g. France and Austria )

The total number of beds seems to be sufficient to treat the entire population, but

such beds are not equally distributed.

The length of hospitalization for rehabilitation is not homogeneous in all countries, ranging from 2 months to one year (average 4 months for paraplegia and 8 months for tetraplegia). It is anyway much longer than the time normally devoted in the U.S.

Finally I would like to inform all European colleagues, particularly those living in eastern European Countries, that on the 14th  of  April 2007 a workshop concerning the gait in SCI patients will be held in Ljubliana ( Slovenia)  in conjunction with the SOMIPAR Annual Congress ( Italian Medical Society of Paraplegia ) and under the auspices of ISCOS. That meeting could be a unique occasion to meet and start to set up a  series of meetings from which to develop a true network aimed to homogenise the entire European system and let care and research on spinal lesions grow more and more.

In the mean time I will go on establishing a continuous contact with all the above mentioned colleagues and try to develop a  stable forum for exchanging our clinical and scientific experiences .

                                                                                                                            Sergio Aito

Lascia un commento

Archiviato in Senza categoria